Fatto silenzio, esponeva il conte i voleri di Federigo. E non avea finito il suo dire che un Florio, uom dell'infima plebe, sguainata la spada, grida pace, e gli dà un fendente in viso; gli altri con l'arme songli intorno; e insignorisconsi della sua persona; indi irrompono per le strade gridando pace; e chi tarda a risponder pace, sforzan con minacciose parole: talchè una picciola fazione strascinò e rivolse tutta l'attonita città. Nè la stettero a pensare che gittassero sopra tre barche, apparecchiate a questo, il conte co' suoi seguaci, instando con feroce volto Virgilio e Napoleone: e Ugone li chiamava a nome; scongiuravali che s'alcuna offesa ebber unque da lui, sfogassero nel suo sangue, non si voltassero contro il re. Gli fer cenno a star zitto e navigare per Taormina: e il popolazzo intanto saccheggiava le sue case; se non che rimandò senza offesa alcuni altri uficiali del re, con tutto il lor avere. Incontanente i congiurati chiaman Roberto, che, dubbioso e in travaglio, ritraeasi a Paternò; dangli la città; il raccolgono con empia gioia; e chieggongli ed hanno, scrive Speciale, in premio di tanta virtù, terre, casali, castella, ch'ei più volentieri largiva perch'erano in man de' nemici, nè pareagli vero comperar sì poco la sua salvezza. Certo la diffalta di Catania impedì l'estremo sforzo a cui s'apprestava Federigo, contro il nemico sprovveduto e vagante; certo fu cagione degli infiniti mali che succedettero, e del gran travaglio che si durò a scacciar dal nostro suolo gli stranieri(928).
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