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      Vano romore fu poi quello dei dugento cavalli; i quali, scrive Speciale, come avvezzi a dilettoso vivere, non aspettando le ferite, volsersi in fuga; ma un istorico men caldo direbbe, che perduto il lor capitano, dopo la sconfitta delle due ali dell'esercito, anzichè porre giù le armi o dar le vite senza pro, vollero da savi ritrarsi alla flotta, serbandosi a miglior uopo; ma loro il tolse l'oste vincitrice che inseguilli, e circondò, e soperchiò. In questa caccia un memorevol fatto mostrò vivamente a quali spiriti fosser saliti i Siciliani. Giletto, un soldato de' nostri, addocchiando tra' fuggenti Pier Salvacossa, il disertor dalle siciliane bandiere, il raggiugne, il ghermisce; alza il ferro. Gli offrì Salvacossa mille once d'oro in riscatto. Ma il soldato: "Gran fatica, rispose, è a contarle. Serba le mille once ai tuoi figli; e tu, traditore, tu muori;" e lo scannò. Delle sbaragliate genti, rari salvaronsi sulla flotta, stata spettatrice, e accostatasi nelle tenebre della notte a raccor quanti potesse; e indi partita per Napoli a riportar l'atroce novella. Federigo fe' cibar le genti sul campo di battaglia; lasciò ad ogni combattente quantunque avesse preso di bottino o prigioni, serbando per sè i soli primari baroni; e al principe di Taranto con molta cura fe' medicar le ferite, imbandir mensa, render ogni onore che s'addicesse a tal prigione. A sera entrava in Trapani; spacciava corrieri a spron battuto per tutta l'isola: che ne resta la lettera scritta a' cittadini di Palermo, significando quella vittoria, ed esortandoli a montare su lor galee, e accozzati con le genovesi di Egidio Doria, salpare contro la sprovveduta flotta nemica.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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