Armate dunque ne' nostri porti venzette galee, con cinque più de' Ghibellini di Genova, vi montavano Giovanni Chiaramonte, Palmiero Abate, Arrigo d'Incisa, Peregrino da Patti, Benincasa d'Eustasio, Ruggier di Martino e altri molti, fior della nobiltà siciliana; il supremo comando tenea Corrado Doria, genovese. Navigaron depredando e guastando la riviera infino a Napoli, ove Ruggier Loria mettea in punto da quaranta galee del regno e spagnuole. Mandarono un legno a portargli la sfida: ed ei, ch'aspettava le dodici galee testè rifuggite in Catania, freddo rispondea, non esser pronto per anco a battaglia. Indi la nostra flotta, per vanto di chiudere in porto un tal ammiraglio, soprastette tra le isole del golfo; bravando, senza assalire, nè strignere il nemico, che rinforzavasi. Scorsero i Siciliani una scura notte infino a Ponza; e le dodici galee di Catania a vele gonfie presero il golfo: giunsevi nel medesimo tempo inatteso aiuto di sette galee genovesi de' Grimaldi, anelanti di bagnarsi nel sangue de' Doria. Con cinquantotto galee allora uscì Ruggier Loria, contro la nostra flotta di trentadue.
A tal disparità di numero, i baroni dell'armata siciliana, consultavano in fretta sulla nave dell'ammiraglio, per onestare, non la brama di ritrarsi, ma la temerità che accendeali a combattere. Perciò fu vana la saviezza di Palmiero Abate, uomo di gran cuore e nome, invecchiato nelle guerre del vespro(1010), il quale scongiuravali: che di soverchio non tentassero la fortuna; non mettessero a certissima perdita quest'armata, e con essa le speranze tutte della patria; niun rossore, diceva, al ritrarsi con forze sì disuguali; si specchiassero nel gran Loria, che testè n'avea maggiori, e pur non tenne l'invito, ma combatter volle a suo comodo.
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