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      Datesi dunque le ciurme a predar la città bassa, i nostri cavalli le caricano; le pestano, taglian la ritirata alle navi, gli sbaragliati fanno in pezzi o recan prigioni. L'ammiraglio, che non fuggì mai rischio, era sbarcato co' suoi; ma non potendoli rannodare in tal contrattempo, si nascose in un cantuccio d'osteria, finchè, ritiratisi i siciliani cavalli, trovò un palischermo, e tornossi alla flotta, ove il piangean morto. Passò il Faro poi, senza tentar Messina; die' un assalto a Taormina; nè altro ne riportò che il vanto di aver superato quegli ardui luoghi, e fattovi pochissima preda(1021).
      Così andando in lungo la guerra, l'anno trecento e gran tratto del seguente, passarono senz'altre fazioni, in vane parole di pace per oratori di Federigo a Carlo, pratiche di scambio de' prigioni(1022), e altre mene di parte d'Angiò, delle quali appena scopriam le vestigia nelle tenebre del tempo(1023). Eran deboli i due eserciti, per le cagioni che innanzi toccammo, e più per la carestia, che obbligò Loria a tornarsi con l'armata in terra di Napoli, per tor vittuaglie da provvederne Catania e le castella prese in val di Noto. Ciò fatto, vedendo uscire scarsi tutti i partiti, nella state del trecentouno, l'ammiraglio consultavane con Roberto di farsi veder, se non altro, ai nemici: e scelsero la via del mare, perchè Federigo avea oste e non armata. Spartita dunque la loro, sciolgono di Catania, Roberto per la costiera di mezzogiorno col grosso delle navi, Loria per settentrione con le rimagnenti.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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