Ma, inviati da Federigo a vittuagliar Messina settecento cavalli e duemila almugaveri, con Blasco Alagona e 'l conte Calcerando, Roberto non li aspettò; passò con tutte le forze in Calabria, la notte medesima ch'ei seppe Blasco giunto a Tripi, e da lui mandato avviso a Messina che la dimane facessero una sortita, mentr'ei, piombando da' monti, prenderebbe a rovescio il nemico. Raggiornato dunque, i nostri, gli uni dalle porte, gli altri dalle creste de' monti, s'apprestavano di gran volontà a combattere, senza pensare al numero delle genti di Roberto, quando le videro fuggite. Entrato Blasco in Messina, tra l'allegrezza della ritirata e de' rinfrescati viveri, si cominciò a braveggiare. Xiver de Josa, alfier di Calcerando, inviò in Calabria una bizzarra sfida in rima, per un ministriere che la cantasse; e la canzone invitava i nimici a tornar pure in Sicilia, che non si difenderebbe lo sbarco, ma all'asciutto, in bella pianura, sariano aspettati a combattere. Montaner la dà a paura che Roberto andò via da Messina, nè fece ritorno alla sfida. Altri porta più sottil ragione di guerra: che non potea giovare a Messina quantunque salmeria di vivanda condotta per terra, consumandosi da' cavalli della scorta più ch'e' non fornivano; e che Roberto, tenendo lo stretto e stando in Calabria, senza rischiar giornata, toglieva a Messina gli aiuti di Reggio; e l'una e l'altra insieme avrebbe affamato, minacciato e percosso improvvisamente. Prima pose il campo a Reggio; poi con la medesima prudenza si ritirò alla Catona, per la valida difesa di Ugon degli Empuri; e ostinato stette al blocco, onde ad orribil pressura crescea la fame in Messina.
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