Ristrettosi dunque con Roberto, che mal si piegava, come giovane e feroce, a lasciar sì bella parte del retaggio paterno, ricordavagli tutte le vicende della siciliana guerra; quant'oro, quanto sangue si fosse sparso senza poter mai ridurre quest'isola; e ch'or peggio dileguavansi le speranze, per essere stracco il reame di Napoli, esausto l'erario pontificio, caduta la riputazione di lor armi, e rinnalzata quella di Federigo, che saprebbe riassaltar le Calabrie, conturbare il regno, accender fuoco nell'Italia di sopra, col favor dei Ghibellini. Le quali parole non persuasero Roberto; ma il vinse la necessità dell'esercito, e l'autorità del Valois. Fors'anche era il caso assegnato per la pace nelle dette istruzioni del re. E certamente, o in Napoli quando si deliberarono le istruzioni, o a Sciacca, quando si usarono, per assentir tal subito fine della guerra, tal inopinato esito de' disegni della lega francese e guelfa, non solamente si risguardò alle condizioni dell'esercito, ma anco si conobbe troppo arduo partito il continuare l'impresa contro la Sicilia, pronta sempre a quella maniera di guerra, poco dispendiosa a lei, poco rischiosa; non così a' collegati che avrebbero avuto a rifare altro esercito, armar altra flotta, adunar altri tesori, mentre gli elementi della lega, come alla lunga avviene, tendeano a disciogliersi. Deliberato dunque l'accordo, Carlo mandava Amerigo de Sus, e Teobaldo de Cippòio, oratori suoi, a Federigo, che s'era tirato indietro a Castronovo per mettere insieme le sue genti(1056). Federigo assentì il diciannove agosto i preliminari della pace, e che, ad ultimarla, venissero ad abboccamento con essolui Valois e Roberto; intanto si cessasse dalle armi.
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