I nobili messinesi, in abbigliamenti di pace, si faceano incontro a' principi; li conduceano a città; e sontuosamente albergavanli. Ma convitando Valois i primi della città, e tra questi Niccolò e Damiano Palizzi, che nel blocco di Roberto avean tenuto, l'un la città, l'altro il castello, Niccolò, chiamato a sè il minor fratello, ricordavagli quante fiate servì a tradigione l'allegria delle mense (nè Carlo di Valois era Catone); essere in quel ritrovo il fior della città; gli ospiti inimicissimi, fidanti nel favor del pontefice; l'occasione da tentar coscienze anco men larghe, perchè, presa d'un colpo di mano Messina, che sarebbe della Sicilia? e per tal acquisto qual peccato non si rimetterebbe? Perciò ammoniva il fratello che restasse nella rocca, e non s'arrendesse per quantunque caso atroce; non se vedesse lui medesimo tra' nemici, con la testa sul ceppo, e 'l manigoldo levar in alto la scure. Damiano seguì il consiglio.
Qui lo Speciale si fa a descrivere il convito, il desco ricoperto di bianchissimi lini, il vasellame d'oro e d'argento, i donzelli in eleganti abiti, pronti a un girar d'occhio dello scalco; e altri dar acqua alle mani, altri servir le vivande, girare i vini in tazze sfolgoranti di gemme; e somiglianti sfoggi di lusso, contro i quali ei si scaglia, lamentando che principi e cittadini, e fin que' ch'avean fatto voto d'imitare la povertà di Cristo, con tai vanità desser fondo a loro sostanze. Ma dopo le prime imbandigioni, quando comincia il favellìo, sedendo Niccolò Palizzi tra Roberto e il Valois, costui domandavalo: nelle stretture estreme del blocco, quando vedeansi gli uomini cader dalla fame, e fallir anco quei lor cibi pestilenziali, qual mente fosse stata ne' cittadini?
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