Del rimanente, prima ch'io lasci questo nobile subbietto, mi par bene ricercare qual fosse la Sicilia innanzi il vespro, qual ne divenisse, qual restasse poi.
Nel secol duodecimo la veggiam noi fiorita d'industrie, civile e potente, forse sopra la più parte degli stati d'Italia, domar quanti piccioli principati stendeansi dal Faro al Garigliano; e per questa nuova signoria, entrar nelle guerre civili d'Italia; e al medesimo tempo avviarsi a più intima unione con quelle province d'oltre lo stretto, e a reggimento più chiuso. Questo ebbe sotto casa Sveva, per lungo tratto del secol decimoterzo, con grande soperchio di tasse: ma l'alta mente de' principi mitigò l'uno e l'altro con buone leggi civili, gentilezza di costumi, cultura degl'ingegni, da avanzare nel rinascimento delle lettere ogni altra provincia italiana; e insieme die' l'andare a forti opinioni contro la corte di Roma. L'avarizia e severità, spiacendo più che non allettavano gli ornamenti, piegarono i popoli alla repubblica del cinquantaquattro. Spenser questa i baroni; e tornò la dominazione Sveva con que' vizi e quelle virtù: onde poco appresso ricadde, più per mala contentezza de' popoli, che per forza straniera.
Ma il governo angioino, invece di far senno da ciò, inebbriossi d'ogni più insensato abuso; mutò non solamente le persone de' feudatari, ma di fatto anco innovò la feudalità; nel rimanente correndo al peggio sulle tracce degli Svevi, e sforzandosi, direi quasi, a trar tutto alla testa il sangue, per farsene più vigoroso alle ambizioni d'Italia e d'Oriente.
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