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      Non fu interrotto questo lungo corso di vittorie, se non che da due sconfitte in mare, e da tre anni d'infestagione dell'isola; dove i nemici non riportarono alcun avvantaggio di conflitto, ma ciò che presero fu a patti, o per tradimento. Questi disastri toccaronsi per la virtù soldatesca, le pratiche, la riputazione di Giacomo, di Ruggier Loria, de' venturieri spagnuoli: ma risanati che furono i nostri dal delirio di combatter in mare senz'ammiraglio, vinsero in campo; tagliarono a pezzi gli stanziali francesi e italiani nella guerra guerriata, per cui è fatta la Sicilia; sgararono nella lunga prova il reame di Napoli, maggiore tre tanti di popolazione(1075). Ed esso non bastò a domar l'isola, ancorchè, insieme col suo sangue e la sua moneta, si sperperassero contro Sicilia le decime ecclesiastiche di tutta l'Europa, i sussidi delle città guelfe d'Italia, oltre il danaro che die' in presto la corte di Roma, che passò le trecentomila once d'oro, e al dir del Villani(1076), il papa ne acquetò Roberto al tempo del suo coronamento. E non bastò, ancorchè la Francia fornisse braccia ed armi alla guerra, e poi l'Aragona con essa, e la misera Italia sempre; e la sede di Roma votasse la faretra degli anatemi, in una età, non che di religione, ma di superstizione; e si facesser giocare tutte le arti di quella corte, sapiente e destra, e avvezza a maneggiar le relazioni politiche della intera cristianità. E la Sicilia, che non era aiutata di danari da alcuno, d'uomini una volta dalle Spagne, poi sol da pochi avventurier catalani e ghibellini di Genova, finì la guerra mantenendo l'alto suo intento.


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La guerra del Vespro sicialiano
o Un periodo delle istorie sicialiane
di Michele Amari
1843 pagine 912

   





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