Dante in tre versi ritrasse compiutamente il vespro:
Quella sinistra riva che si lavaDi Rodano, poich'è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m'aspettava;
E quel corno d'Ausonia che s'imborgaDi Bari, di Gaeta e di Crotona,
Da onde Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami già in fronte la coronaDi quella terra che il Danubio riga
Poi che le ripe tedesche abbandona;
E la bella Trinacria che caligaTra Pachino e Peloro, sopra il golfo
Che riceve da Euro maggior brigaNon per Tifeo, ma per nascente solfo,
Attesi avrebbe li suoi regi ancoraNati per me di Carlo e di Ridolfo,
Se mala signoria, che sempre accoraI popoli soggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora.
Parad., c. 8.
A' lettori italiani, o nati in qualunque altra terra ove s'estenda la presente civiltà europea, io non ricorderò la rigorosa esattezza istorica della Divina Commedia intorno i fatti d'Italia; la possanza di quella mente a scrutar le cagioni delle cose, e stamparle ne' pochi tratti co' quali suol delineare un gran quadro, sì che nulla vi resti a desiderare; l'autorità infine dell'Alighieri, come contemporaneo al vespro. E a chi noi sente con evidenza, non dimostrerò io, che quelle parole, in bocca di Carlo Martello, tolgano affatto il supposto di congiura baronale. Noterò bene che Dante, qui non solo tratteggiò la causa, ma ancora una delle circostanze più segnalate del tumulto, che fu il perpetuo grido: "Muoiano i Francesi, muoiano i Francesi!" Onde que' tre versi resteranno per sempre come la più forte, precisa e fedele dipintura, che ingegno d'uomo far potesse del vespro siciliano.
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