Tutti questi documenti mostrano ad evidenza che infino a tutto il secolo XIII, nè la corte di Roma, nè quella di Napoli ebber mai fronte di parlar di congiura siciliana; anzi, tratte dalla forza dell'evidenza, accettarono la manifesta cagione della rivoluzione dell'ottantadue, com'io l'ho ritratto. Ma coll'andar del tempo pensarono dipinger più nero il fatto, del quale già la verità s'incominciava a corrompere e dileguare. Il veggiamo in due diplomi, l'un di re Roberto dato il 2, l'altro di re Federigo II di Sicilia dato il 3 settembre 1314; mentre Roberto assediava Trapani, Federigo strignea Roberto. Avvenne allora, che un corsale napolitano prese una nave delle isole Baleari che mercatava in Sicilia, e che la città di Barcellona ne domandò a Roberto la restituzione. Costui dunque, scrivendo al comune di Barcellona, ingegnavasi a sostener buona la preda; e tra le altre ragioni allegava: quod homines insulae Siciliae a longissimis retro temporibus, rebellionis, perfidiae et hostilitatis improbe spiritum assumentes, contra clarae memoriae progenitores nostros proditionaliter rebellarunt, etc.; il quale proditionaliter si può intendere o perfidamente, ovvero con delitto di maestà, che per la diffalta al giuramento, si volle chiamar tradigione. Ma Federigo, confutando tutte le ragioni, largamente anco dicea della ingiusta aggressione di Carlo contro re Manfredi, dell'empia tirannide con cui condusse a disperazione i popoli del regno preso da Pietro. Non igitur, continua, scribi debuit quod proditionaliter rebellassent, cum rebellationem hujusmodi nullum propositum, nullaque factio, vel conspirans conjuratio praecessisset; et licebat nec minus eis liberis, quod servilis status hominibus erat licitum, ut confugientes ad Ecclesiam, saevitiam effugerent, etc.
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