Trovandone in Barbaria a guerreggiar contro infedeli, vennero oratori di Sicilia ad esporre la tirannide che li opprimea. Perchè questo reame appartiene alla consorte e a' figli nostri, non potemmo ricusare il nostro aiuto alla Sicilia. Qui saputo l'assedio di Messina, mandiamo a richiedervi che lo sciogliate; e, indugiando, muoveremo con le nostre forze. Questo è il compendio dell'epistola. Somiglianti parole mettonsi in bocca agli ambasciadori. Carlo risponde loro a voce: maravigliarsi della non provocata offesa del re d'Aragona; a sè appartenere il reame per concession della Chiesa; Pietro usurpane il titolo per false ragioni; ma troppo ei si affida in sè e in sua gente, se viene in arme contro a noi. Mostreremgli adesso com'ei s'è gittato a impresa da stolto.
Nella cronaca del monastero di San Bertino, Martene e Durand, Thes. Nov. Anec., tom. III, pag. 763, a un di presso è riportata nell'istessa guisa la lettera di Pietro; se non che s'aggiugne la circostanza, che a lui guerreggiante in Barberia, la corte romana negò ogni aiuto; sulla qual ragione, come si ritrae da diverse memorie, egli facea molto assegnamento. La risposta di re Carlo fu aspra e villana; e conchiudea, che se Pietro avesse voluto conservare ombra di riputazione, non avrebbe dovuto cacciar fuori il capo dalla sua spelonca. Vedrebbesi al fatto, se questo giovane sarebbe tanto audace da sostener i prodi Francesi pronti a combatterlo.
In sensi non molto diversi, ma in tenore più breve, si leggono le due epistole nella Cronica di Rouen, presso Labbe, Bibl. manuscripta, tom.
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