Ciò dunque spiega al tutto la mutata opinione di Dante. Ecco i luoghi di cui sopra io parlava:
Poi disse sorridendo: I' son Manfredi,
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Vadi a mia bella figlia, genitriceDell'onor di Cicilia, e d'Aragona.
Purg., c. 3.
E qui Benvenuto da Imola notava: Idest honorabilium regum; Quia domnus Fridericus fuit rex Siciliae et domnus Jacobus rex Aragonum; nè può ammettersi ragionevolmente alcun'altra interpretazione:
Che non si puote dir dell'altre rede;
Iacomo, e Federigo hanno i reami:
Del retaggio miglior nessun possiede.
Purg., c. 7.
Vedrassi l'avarizia e la viltateDi quel, che guarda l'isola del fuoco,
Dove Anchise finì la lunga etate:
E a dare ad intender quanto è poco,
La sua scrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.
Parad., c. 19.
E quel che vedi nell'arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora,
Che piange Carlo e Federigo vivo:
Parad., c. 20.
Racha, Racha. Quid nunc personat tuba novissimi Federici! quid tintinnabulum secundi Caroli; quid cornua Johannis et Azzonis marchionum potentum; quid aliorum magnatum tibiæ? nisi: Venite carnifices, venite altriplices, venite avaritiae sectatores Sed praestat ad propositum repedare quam frustra loqui.
De Vulgari Eloquio, lib. 1, cap. 12.
E qui è da notare che Dante, mentre sì acerbamente detrae a Federigo, pur gli dà la tromba come guerriero, ma a Carlo II di Napoli il campanello come sagrestano; riscontrandosi appunto con la descrizione che fa il Neocastro, cap. 112, delle tende di questo Carlo II, e di Giacomo allora re di Sicilia, nelle pratiche della pace di Gaeta, l'anno 1291. V. nel presente volume, pag.
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