La genuina tradizione dei tempi musulmani si dileguò di Sicilia al conquisto normanno, insieme coi dotti ch'emigravano in Affrica, in Spagna o in Egitto. Se ne andavano con essi i libri; o erano distrutti tra le guerre del conquisto nell'undecimo secolo; tra le sedizioni dei Cristiani nel duodecimo; tra le disperate ribellioni dei Musulmani nei principii del decimoterzo: ancorchè la Sicilia non abbia dato, nè anco in que' tempi, lo scandalo d'un auto-da-fè di manoscritti arabici, come quello del cardinal Ximenes che ne fece ardere ottantamila su la piazza di Granata, mentre Colombo scopriva l'America. Il fatto è che dalla metà del decimoterzo secolo alla metà del decimoquarto, rimanendo tuttavia in Sicilia, come n'abbiam prove, qualche notaio che intendesse gli atti distesi in arabico e qualche Giudeo che traducesse opere dei medici arabi, tal cognizione di lingua non servì a tramandare memorie storiche, ma soltanto a propalar qualche errore degli Arabi o dei traduttori. Così io penso leggendo nelle croniche latine di Sicilia a quel tempo, che dopo i casi del buon Menelao re d'Italia e di Sicilia, i Greci, mandati da Eraclio imperatore di Costantinopoli, si fossero impadroniti della Trinacria; le avessero posto nome di Sicilia, da due voci greche l'una delle quali suona fico e l'altra olivo; e che poi, ribellatosi Maniace luogotenente di Eraclio e spento a tradigione dalla corte bizantina, il figliuol suo, per vendetta, avesse dato l'isola ai Saraceni di Tunis, l'anno di Maometto centonovantotto, e ottocento ventisette di Cristo(1). Erano i fatti di venti secoli compendiati in una vita d'uomo.
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