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      Ove si consideri come gli eruditi siciliani del decimosettimo e decimottavo secolo non fossero stati secondi a que' di alcun'altra provincia italiana o straniera nello studio dei patrii annali, forte si maraviglierà che niuno tra loro avesse pensato di apprendere l'arabico. E pur in quella stagione a Roma, in Toscana, in Lombardia si facea quel che oggidì ammiriamo in Alemagna, Francia e Inghilterra: si raccoglieano con ardore i MSS. orientali riportati da viaggiatori italiani; i missionarii della Propaganda di Roma studiavano le lingue orientali; si pubblicavano appo noi libri in arabico e in siriaco; si formavano musei asiatici; si compilavano opere di gran dottrina sul Corano, e grammatiche e dizionarii arabici, per esempio quello del Giggei: fiorivano, in somma, gli studii orientali al segno, che il Renaudot, dando fuori nel 1713 la Storia dei Patriarchi d'Alessandria, la dedicò a Cosimo III de' Medici; confessando nella prefazione che nel corso del decimosettimo secolo gli orientalisti di tutta Europa non avessero avuto altro capitale che le opere uscite dai tipi di Firenze. Ma queste tornarono inutili alla Sicilia, perchè i progredimenti dell'intelletto difficilmente si comunicavano dall'uno all'altro sminuzzolo d'Italia, e più difficilmente valicavano il mare. Nè miglior frutto cavò la Sicilia dagli ardimenti di Francesco Maria Maggio da Palermo de' Chierici Regolari (1612-1686), missionario, il quale dopo otto anni di peregrinazione in Siria, Persia, Mesopotamia, Armenia, Georgia, tornò a Roma pratichissimo degli idiomi arabico, turco e georgiano; tanto che ne scrisse le grammatiche parallele(5), dedicate a papa Urbano Ottavo(6). Francesco Tardia da Palermo (1732-1778) pervenuto, non so come, ad avere una tintura di arabico, ne usò in opera di lieve momento, la edizione, cioè, d'una versione italiana di Edrisi, fatta dal maltese Domenico Macrì(7). Le illustrazioni sue di alcuni diplomi arabici dell'epoca normanna rimangono inedite; nè sembrano gran che.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume primo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1854 pagine 677

   





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