Già la patria era perduta; già i migliori disperavano di lei. Diodoro, che fiorì l'ultimo tra i sommi ingegni della Sicilia greca e fu il primo scrittore dell'antichità che abbracciasse la storia universale, Diodoro, dopo trent'anni di viaggi e lungo soggiorno a Roma (verso l'anno 45 av. l'e. v.), par sì rassegnato alle sventure della Sicilia, che accettava come vera guarigione un sollievo passeggiero dovuto alla umanità del pretore Asillio. Nè volgare animo ebbe lo storico siciliano, nè poco amore per la patria; ma vedendola perire, par ch'ei se ne confortasse con le ineluttabili leggi dell'umanità che gli lampeggiavano alla mente, e con risguardare ormai il genere umano come unica famiglia, e il popol romano come capo di quella(113). Dopo la morte di Diodoro seguirono le ultime guerre civili dei dominatori, che fecero campo di battaglia la Sicilia (a. 43-35 av. l'e. v.), e sì la straziarono, che consunta com'essa era dalle cause economiche e morali, non potè risorgere; le antiche e nuove piaghe scoprironsi di un subito. La popolazione delle cittadi scemò orribilmente; moltissime rimasero vôte d'abitatori; abbandonata gran parte dei colti: la terra di Cerere, sì cupidamente presa dai Romani, si era sfruttata nelle mani loro(114).
Chi abbia mai percorso le splendide memorie della Sicilia greca, o soltanto abbia notato gli avanzi di quella prosperità nelle orazioni di Cicerone contro Verre (a. 70 av. l'e. v.) crederà a stento lo squallore che ingombrò il paese verso il principio dell'era volgare.
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