Il clero non par sia stato irreprensibile; del resto non numeroso nè turbolento: pochi al certo i monaci, di regola forse basiliana; e vi si aggiunse una colonia di Benedittini a Messina, se pur v'ha questo di vero in una leggenda che ci occorrerà di esaminare nel quarto capitolo di questo libro(125).
Ma un altro vincolo fortissimo avvinse la Sicilia al papato in quei bassi tempi; e fu la proprietà territoriale, avanzo dei vasti patrimonii acquistati dai cittadini romani tra con le arti di Marcello e di Verre, o raggranellati ora per gli sforzi d'onesta industria, or con l'usura. Non prima fu lecito alle chiese di possedere beni, che lo zelo dei nuovi convertiti, l'artifizio del clero datosi ad avviluppare le coscienze in una rete inestricabile di peccata, il baratto dei perdoni, l'assiduità al letto di morte sopra animi stemprati dalla infermità agitati da tante paure, la confusione delle opere di pietà con le opere di carità, la eloquenza e dottrina fatte retaggio esclusivo del sacerdozio; tutti questi potenti motivi, moltiplicarono le donazioni e i lasciti pii: e più dopo la occupazione dei Barbari, quando i beni mondani de' vinti divennero sì precarii e sì rinvilirono. Così furono largheggiati alle chiese italiane vasti tratti di terreno in Sicilia, che nel linguaggio dei tempi si chiamavano fondi o masse. La Chiesa di Milano nel sesto secolo possedea nell'isola un patrimonio di questa fatta(126); un altro n'ebbe la Chiesa di Ravenna(127); ed uno di gran lunga più dovizioso la Chiesa di Roma, che d'altronde tenea tanti altri poderi in tutta Italia e fuori.
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