Al dir di papa Adriano I, il patrimonio di Sicilia proveniva da donazioni non meno d'imperatori che di privati. Vaste erano le possessioni e sì sparse in tutta l'isola, principalmente presso Siracusa, Catania, Milazzo, Palermo, Girgenti, che talvolta i vescovi di Roma preposero all'amministrazione due rettori che sedeano a Siracusa e a Palermo, come al tempo antico i questori nelle due province, siracusana e lilibetana. Del rimanente un autore bizantino della fine dell'ottavo secolo fa montare il ritratto in Sicilia e in Calabria a tre talenti e mezzo d'oro(128), classica e incerta cifra statistica. I poderi, come ogni altro dell'isola, si coltivavano da conduttori e rustici, delle quali condizioni di persone tratteremo a suo luogo; notando sol qui che la Chiesa Romana riscuoteva una tassa nei matrimonii dei suoi rustici: strano transatto tra l'antica ragione che avea negato il nome di matrimonio ai congiugnimenti degli schiavi, e la nuova fede che costituivali in sacramento. Molte altre orribili avanie anco pativano i conduttori e rustici della Chiesa; avanie forse comuni a tutta la popolazione rurale della Sicilia, e per lo più aggravate dalla negligente amministrazione di mano morta, com'oggi ben si chiama(129). Così fatti abusi furono mitigati da San Gregorio al tempo di cui dicevamo in su la fine del capitolo precedente, ed al quale convien che torni la narrazione.
La chiesa di Roma non si potea sottomettere di queto ai Longobardi, flagello della gente latina, e, oltre a ciò, incapaci ad occupare tutta la Penisola com'avean fatto i Goti.
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