Però San Gregorio non potea largire le proprie facultà in opera più caritatevole, nè più utile all'Italia e a Roma stessa, che di aprir loro un ospizio. Quella mente, in quella età, non poteva imaginare altro ospizio che il monastero. I sei che ne fondò bastavano a ricettare, se non tutti gli esuli, almeno i più degni e capaci a disciplinare e agguerrire questo nodo di frati che combattessero su i dubbii confini della religione e della politica; tenessero in Sicilia una propaganda romana contro la sede di Costantinopoli, la quale attraea le popolazioni di linguaggio greco; apparecchiassero séguito alla Chiesa di Roma, venendo alla dura estremità di riparare in Sicilia cacciata dai Barbari; e potessero in fine, secondo gli eventi, ripassare in terraferma a gridar la croce contro gli Ariani. San Gregorio mentr'era privato, com'ei pare, coltivò a questo medesimo intento l'amistà di ragguardevoli famiglie siciliane(133).
E quand'egli, sforzato o forse secondato dallo amor dei Romani, salì alla cattedra di San Pietro, il disegno su la Sicilia si allargò, come tutti gli altri della sua mente. Non è del mio subietto discorrere di quanto momento fosse stato questo gran Romano sul secol suo con le azioni e con gli scritti; nè ricorderò la conversione di popoli lontani; la riverenza e terrore della religione aumentati; l'autorità civile arrogatasi tra per la influenza che gli usi dei tempi davano ai vescovi e per la lontananza e impotenza dell'impero bizantino; il nome della sede romana esaltato; le arti assiduamente adoperate a ciò or con animo sincero, or con malizia: la morale, cioè, la filosofia, la teologia, la disciplina e ambito del clero, la solenne liturgia, il grave canto, le leggende superstiziose; senza lasciare intentato veruno argomento che potesse scuotere l'intelletto, cattivare l'animo, illudere i sensi.
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