Infatti quei che noi diciamo versi del Corano ei chiamò aiât ossia miracoli. Gli altri prodigii che sogliono attribuire a Maometto i Musulmani, e, più di loro, i Cristiani, nè egli mai li vantò, nè entrano nella credenza di lor teologi: sono invenzioni di tempi più bassi e di altre nazioni; sopratutto dei Persiani che portavano nello islamismo lor fantasie indo-germaniche.
Le istituzioni musulmane, come ognun sa, furono dettate a poco a poco, abrogate ed emendate secondo le circostanze: e gli Arabi si beveano d'aver sì comodo legislatore, onnisciente e fallibile, capriccioso ed eterno. Deriva la legge da due fonti: il Corano e la tradizione, ossia le pratiche e parole di Maometto, notate dai discepoli, delle quali noi abbiamo ricordi autentici e diligenti più che non si possa aspettare in leggende religiose; emergendo non dalle tenebre di una setta e d'una antichità remota, ma dalla storia di pochi anni di persecuzione, che si voltò in trionfo vivendo i persecutori e i perseguitati e ridivenuti fratelli. Quell'ampia raccolta, ci attesta forse meglio che il Corano la sagacità, prudenza, umanità, bontà e saviezza pratica del legislatore: ed è stata guida dei Musulmani a private e pubbliche virtù. Il Corano, assai più studiato, racchiude confusamente dommi, leggi generali, provvedimenti secondo i casi, assiomi, parabole, e gli antichi racconti religiosi ai quali accennai disopra, guasti per lo più da fallace memoria o presi a sorgenti apocrife; e ciò tra ripetizioni, contraddizioni, declamazioni; in stile vario, spezzato, incisivo, per lo più sublime, talvolta monotono: un tutto incantevole agli uditori suoi, per la proprietà e maneggio della lingua; e può ammirarsi anco da noi ancorchè non di rado vi si desiderino l'accento, il gesto, le attualità che doveano rendere sì efficaci quelle parole.
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