Il quale, messi insieme quarantamila uomini, tirņ dritto a Cartagine (693-4); ruppe i terrazzani e il presidio usciti a combattere; e pose tale spavento nella cittą, che i principali cittadini se ne fuggirono su le navi, chi in Sicilia e chi in Spagna; ed egli, facilmente sforzati que' che rimaneano, saccheggiņ, fe' prigioni, dič opera a tagliare li aquidotti e diroccare frettolosamente quanto si potea; e non tardņ a tornare dentro terra contro i Berberi dell'Aurčs. Tra i quali, come avvien sovente nei moti nazionali, correndo le eccitate imaginazioni alla superstizione, era surta una novella Zenobia, regina della tribł di Gerāwa, per nome Dihā, pił nota sotto l'appellazione di Kāhina che le dettero gli Arabi, che č a dire indovina; alla cui voce profetica e bizzarro furore, congeniale alla schiatta loro, s'erano unite le altre tribł. Scontratasi con l'esercito di Hassān su le rive del fiume Nini presso Bagaia, ch'oggi va nella provincia di Costantina, la Kāhina ruppe gli Arabi con memorabile strage: e di lģ a poco un patrizio Giovanni, venuto con le forze navali di Costantinopoli e di Sicilia, ripigliņ Cartagine; Hassān con le reliquie dell'esercito fu ricacciato di nuovo a Barca. La profetessa poi sciupņ la vittoria. Da una mano rimandņ liberi i prigioni arabi, fuorchč un solo che adottņ per figliuolo, il quale la tradģ mandando avvisi ad Hassān. Dall'altra mano scatenņ i suoi a guastar le cittą e i colti dell'Affrica propria, per annichilare, diceva ella, que' futili beni che attiravano il nemico.
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