La generazione presente cresciuta in quegli ordini che si poteano dir civili rispetto all'antica barbarie, non sapea vivere ormai senza i conforti reali ed immaginarii dell'islamismo. Avvezza a riconoscere da Allah, giorno per giorno, un beneficio ovvero una staffilata, la pioggia, i frutti del suolo e degli armenti, la vittoria e la preda, ovvero la carestia, le morie, le sconfitte; avvezza a far tante genuflessioni ogni dì ripetendo qualche parola del Corano, o almeno il nome di Maometto, pensò di mantenersi a un tempo gli aiuti del Cielo e sciogliersi da chi tiranneggiava la terra in nome di quello: corse, in vece dell'apostasia, all'eresia.
Trovò bella e fatta la riforma presso i dominatori stessi. Fin dalle guerre civili di Alî e Mo'âwia, erano seguiti in Oriente i primi urti della ragione con l'autorità; e la ragione, come suol fare, camminando lenta e incerta, avea dato origine alle sètte che si dissero dei Kharegi, ossiano uscenti; i quali negavano l'autorità assoluta dei califi in punto di civil governo e impugnavano anco alcuni dommi di religione, non potendosi far l'uno senza l'altro. Tra quelle sètte se ne notavan due, dette, dai nomi de' fondatori, gli Ibaditi e i Sifriti; concordi tra loro nel tener necessarie qualità del Musulmano la fede e le opere, e però non noverare più tra i Musulmani i colpevoli di gravi peccati, fosser anco i compagni di Maometto e i califi stessi. A così fatti principii aggiugneano entrambe una feroce intolleranza; e nei gradi di quella si distingueano gli Ibaditi dai Sifriti, risguardando i primi come Infedeli, e però rei di morte, tutti i Musulmani che non militassero nella guerra sacra, e le loro famiglie passibili di schiavitù, e rompersi anco i legami del sangue per cagione d'infedeltà. Così fatte opinioni passarono con gli eserciti arabi in Occidente, ove s'appreser tosto ai Berberi selvatici e malcontenti.
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