CAPITOLO VIII.
Mentre la potenza musulmana, sviluppandosi in Affrica, costringea gli imperatori d'Oriente a pensare alla difesa della Sicilia, succedeano nella penisola italiana non men gravi mutamenti di Stato. I Longobardi, tra per que' loro sciolti ordini politici e per la pochezza del numero, s'erano rimasi ai primi conquisti, e minacciavano le altre provincie, senza poterle opprimere. Gli imperatori bizantini dal canto loro le reggeano senza poterle difendere; non avendo esercito da mandare in terraferma d'Italia, nè altro che rescritti, governatori, officiali, qualche man di scherani, e ad ora ad ora un po' di forze navali. Pertanto tollerarono, o promossero, l'ordinamento delle milizie cittadine; lasciaron fare i municipii, che guadagnavan indi tutta l'autorità perduta dal principato; e a poco a poco la schiatta italica delle dette regioni ripigliò l'uso delle armi e della vita politica, e aperse la prima era dei nostri comuni. Roma primeggiò tra quelli, perchè era Roma; e perchè da San Gregorio in poi vi s'eran fatti come presidenti del municipio i papi, la cui riputazione crescea sempre più tra la rozza gente germanica, e toccavano quasi al primato su tutte le chiese di Ponente.
Il novello elemento nazionale surto così in Italia, si provò contro il governo bizantino, oppressore senz'armi, e, per giunta, molestissimo con que' suoi ghiribizzi teologici che poco assai si confaceano alla natura italiana. Attizzò il fuoco la Chiesa di Roma, rivale antica di quella di Costantinopoli, e osante ormai disputare agli imperatori l'uficio di pontefice massimo.
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