Ma salito all'impero Leone Isaurico, mosso non da persuasione teologica, nè dai consigli degli Ebrei e de' Musulmani come scioccamente si è ripetuto, ma da saviezza d'uomo di Stato, ei si provò a una grande riforma. Vedendo consumare l'attività dei popoli tra le ubbie religiose, dentro i chiostri e fuori, e abbandonare l'industria e la milizia, Leone pensò di stornarne gli animi, togliendo dinanzi agli occhi del volgo le immagini di Santi, le quali lo stimolavano a quelle fissazioni, e aumentavano la riputazione, i guadagni, e però anco il numero dei frati. Così diè principio alla eresia degli Iconoclasti; la quale meglio si direbbe guerra del principato contro la superstizione; raro esempio nel mondo. E il principato questa volta restò di sotto. Perchè nelle provincie orientali, ove il clero più gli obbediva, durò la riforma un secolo e un poco più, finchè la opinione dell'universale non strascinò teologi e principi al suo cammino. Ma in Italia gli umori religiosi trionfarono immediatamente, perchè li rincalzavano le condizioni politiche; e perchè la quistione delle immagini era tale che il volgo benissimo la comprendea, vedendo e toccando con mano i numi tutelari che gli volea rapire un despota greco. Pertanto, promulgato il primo editto di Leone (726), Gregorio Secondo, uomo di alti spiriti quanto lo imperatore, destò un incendio: e i successori di Gregorio non lo lasciarono spegnere. Diersi i papi a sollevare i popoli; a promuovere la lega delle città italiane independenti dai Longobardi; a chiamare in aiuto i re di questa nazione, che volentieri colsero il destro d'ingrandirsi.
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