Così fatta vicenda non può condurre al supposto che la schiatta e la lingua greca in Sicilia, dopo esser calate durante la dominazione romana e le barbariche, d'un subito risalissero e occupassero tutta l'isola per virtù della dominazione bizantina. È da conchiudere più tosto che i due popoli si pareggiassero con poco divario per tutto il corso degli otto primi secoli dell'era cristiana; che ambo le lingue fossero state più o meno in uso, come ai tempi di Diodoro(303), se pur il popolo non cominciava a parlarne già una diversa da entrambe e più vicina all'italiana; e che la influenza del governo e della Chiesa facessero prevalere negli scritti il latino prima e il greco dopo di Giustiniano(304).
Nè tra le due schiatte si vide mai differenza di condizione legale: chè nobili e plebei vi furono in entrambe, secondo l'antica riputazione delle famiglie e le vicende della ricchezza e lo splendore delle pubbliche dignità. Della condizione di nobili e plebei non dirò altrimenti, perchè reggendosi l'isola ormai a legge romana si torna a notissime generalità: nè occorre ripetere come da Costantino in poi fosse sostituita all'aristocrazia di nascita la gerarchia dei servidori di corte e officiali dello Stato, innalzati a piacimento del despota; e come fossero al tutto ragguagliati i dritti delle persone, sì che tra gli uomini liberi non rimase che una sola distinzione di poco momento. Dico della curia, nella quale non godeasi altro privilegio che la immunità da certe pene nei casi criminali; e il governo vi ascrivea involontarii i figliuoli di militari quando non fossero validi a portare ancor essi le armi, i proprietarii di venticinque iugeri o più di terreno, e gli affittuali in grande dei poderi del patrimonio imperiale(305). Donde è manifesto che la curia non va chiamata aristocrazia, ma veramente popolani grassi o borghesi.
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