Intanto l'armata aghlabita, che sommava a cento legni o barche, navigando alla volta di Sardegna, nel giugno ottocento tredici era stata pressochè distrutta da una fortuna di mare, alla quale non furono abili a reggere que' piccioli scafi, mal costrutti, mal governati e sopraccarichi di cavalli. E perchè gli uomini si studiano a scusare la incapacità loro con gli effetti di forze superiori, narravano i campati al naufragio, e pochi mesi appresso il ripeteano in Sicilia i legati musulmani, che una voragine apertasi in mare avesse tranghiottito l'armata. Confermavan cotesto annunzio lettere d'un cristiano d'Affrica al patrizio di Sicilia; aggiugnendo essere accaduto appunto il naufragio, quando sfolgorò in cielo una meteora, che dalle lor parole sembra essere stata osservata in varii punti del Mediterraneo(373).
Non ostante il raccontato disastro, i Musulmani infestaron tutta la state le nostre isole minori. Approdarono a Lampedusa con tredici legni; oppressero sette legni sottili mandativi dal patrizio di Sicilia ad esplorare, e uccisero le ciurme; se non che, venuto il grosso dell'armata bizantina, furono a lor volta sopraffatti i Musulmani, e passati a fil di spada. Di mezz'agosto poi, con quaranta legni saccheggiavano Ponza; indi Ischia per tre dì; e si ritraeano con grossa preda di prodotti agrarii, frati e altri prigioni, uccidendo i proprii cavalli(374) per dar luogo su le barche al bottino. Forse fu questa l'armatetta che si spinse infino a Civitavecchia; e forse erano Spagnuoli ovvero gente di Telemsen, sudditi degli Edrisiti; perocchè Abu-'l-Abbas-ibn-Aghlab, mandava tantosto ambasciatori a Gregorio patrizio di Sicilia a confermare la tregua; nè dal ragguaglio di tal missione sembra che gli Aghlabiti avessero a discolparsi delle recenti scorrerie.
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