Soprattutto affranse gli assedianti la moría fieramente incrudelita; e il veder arrivare in questo l'armata bizantina e veneziana, piena di soldatesche. Risoluti a ciò d'abbandonare l'impresa, i Musulmani risarciscono alla meglio lor legni nel porto grande di Siracusa; e montanvi e salpano: quando le poderose forze navali de' nemici chiusero la bocca del porto. Allora, senza far vana prova a rompere la fila delle navi cristiane, i Musulmani, tornano addietro a terra; brucian le proprie, anzichè lasciarle al nemico; e, sicuri per disperazione, s'addentrano nei monti, cercando luoghi più forti e salubri. Nessun cronista ci lasciò scritte quelle perdite spaventevoli che patì necessariamente l'esercito, infetto d'epidemia, trabalzato dal campo su barche, e dalle barche a terra, spinto in fretta tra vie rotte ed alpestri, senza bagaglie, senza giumenti da portare gl'infermi. Ibn-Khaldûn solo accenna a tante afflizioni, con dire che i sopravvissuti non bramavano ormai che la morte(475).
A una giornata di cammino da Siracusa, tra un gruppo di vulcani estinti, sorge in cima ad eccelso monte la città(476) di Mineo, ristorata da Ducezio re dei Sicoli, cinque secoli innanti l'era volgare, quand'ei cominciò sua dura lotta contro le colonie greche. Due miglia sotto la rôcca, da un cratere vulcanico, spiccia un'acqua torbida e puzzolente, detta nell'antichità il lago dei Palici: sede d'oracoli e iddii vendicatori. Tra questi luoghi sostò lo stuol musulmano, divorato dalla pestilenza, guidato da Eufemio che, in abito e nome d'imperatore, recava seco le maledizioni di tutta la Sicilia: e parea gli antichi numi lo attirassero in loro voragini.
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