Poi si spandono per le contrade, uccidendo, predando. Il patrizio con settanta nobili siracusani si chiude in una torre; ed č preso la dimane. Uno stuolo corre alla cattedrale, ove l'arcivescovo Sofronio(706) e tre preti, Teodosio era tra questi, si strappano d'indosso gli abiti sacerdotali, sperando non essere conosciuti; in farsetto di cuoio, si acquattano tra l'altar maggiore e il seggio vescovile; Sofronio tuttavia promette un miracolo; gli altri si domandano perdono scambievolmente delle offese, come in punto di morte: e Teodosio afferma che ringraziavano Iddio di tale tribolazione. Ecco i Musulmani nel tempio: uno brandendo la spada che stillava sangue va dietro all'altare, trae fuori i nascosi; ma senza maltratti, nč minaccioso piglio; e contemplato il venerabile aspetto dell'arcivescovo, gli domandava in greco: "Chi sei tu?" Saputolo, richiese dei vasi sacri; si fe' menare al luogo ove serbavansi, che erano cinquemila libbre di metalli preziosi di finissimo lavoro; fe' entrare nella stanza l'arcivescovo coi tre compagni, e ve li chiuse. Poi chiama gli anziani di sua nazione, scrive Teodosio, al certo i capi di famiglia ch'erano in quella schiera; li commuove a pietą; e salva la vita ai prigioni. Uomo di nobil sangue, dice il narratore, e lo chiama Semnoen forse Sema'ūn ch'č nome arabico. Niun soldato di nazione incivilita usņ mai pił umanamente in cittą presa d'assalto, nel primo impeto, verso ministri di religione avversa: nč gli eserciti dei nostri dģ possono vantare molti Sema'ūn. Questo esempio di gentil animo del condottiero e disciplina dei soldati, accanto agli atti d'esecranda intolleranza che dovremo narrare, prova che miscuglio di schiatte, di costumi, di barbarie e civiltą, di cavalieri e ladroni, fosse nell'esercito musulmano ch'espugnņ Siracusa.
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