Pure il fatto è certo, perchè necessario, e perchè le soscrizioni dei vescovi siciliani scompariscono a poco a poco dagli atti dei concilii; non si parla più di loro nelle croniche; e il solo di cui si abbia memoria, verso la fine dell'undecimo secolo, è quel di Palermo, chiamato arcivescovo; del qual cenno noi tratteremo a suo luogo.
Aprendo i volumi delle agiografie siciliane reca maraviglia lo scarsissimo numero dei martiri dell'epoca musulmana. A spiegar ciò non basta la dimenticanza che necessariamente seguì nel decimo e undecimo secolo, quando la più parte della popolazione confessava un Dio solo e Maometto apostol di lui. Sendo rimasi tuttavia molti Cristiani in Sicilia, e surti in Calabria novelli monasteri ove riparavano frati siciliani, è manifesto che la tradizione non potea perire. Martiri da un'altra mano non ne mancavano. Migliaia di combattenti, fatti prigioni e proposta loro talvolta, a rigor del dritto di guerra, l'alternativa tra l'apostasia e la morte, eleggeano francamente la morte; come fecero sempre e in ogni luogo i soldati dell'impero bizantino. Ma il clero non volea santi laici, molto meno soldati; e di certo mandava all'inferno quei martiri che innanzi non fossero stati bacchettoni. De' suoi, il clero non ne forniva; perdonandosi per legge musulmana la vita ai preti e ai frati fuorchè se avessero combattuto: il che non avveniva giammai nella Chiesa Greca. Perciò sì poche le vittime cui il martirio desse titolo di santità. Si noverano tra quelle, nel primo impeto del conquisto, San Filareto e altri frati di che facemmo ricordo nell'assedio di Palermo (831): e furon presi fuggendo.
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