Esagerate sembrano invero le invettive che il nostro oratore lanciava da petto a petto al popolo di Taormina, il dì festivo di San Pancrazio, primo vescovo, che si supponea, della città. Tornato in fretta di Palermo, Teofane, ancorchè spossato, com'ei dicea, dal viaggio, montava sul pulpito a sfogar sua collera. Ponea per testo le parole del Vangelo: "Son io la porta" (Giovanni, X, 9); e, spiegatele, veniane alla conchiusione, che il clero farebbe opera a non imitare i pastori mercenarii e ladri, ma i fedeli dovessero alsì fuggire l'esempio de' capretti che corrono a precipitar nei dirupi. E passando alle gesta del santo che si festeggiava: "In questa nostra isola, ei dicea, venne Pancrazio, e in questa città di Taormina; sì, città del toro e delle Menadi(908), del furore e della mania, in questa terra ove siam dannati a soggiornare." Poi facendo parola degli idoli Falcone, Lissa e Scamandro abbattuti da San Pancrazio, esortava i cittadini "a metter giù anch'essi i loro idoli, cioè le fiere passioni dell'animo; ad esercitarsi in buone opere; massime quei che il poteano, gli ottimati dell'empia città, ottimati, ei ripigliò, cioè più cospicui nei vizii(909)." Il viaggio di Palermo, la perturbazione politica che si può argomentare da quella puntata contro i grandi, accennerebbero ai tempi della rivoluzione d'Eufemio, nei quali regnava Michele il Balbo, nè correan troppo pericolo gli adoratori delle immagini. Si potrebbe riferire per avventura ai principii del regno di Teofilo un'altra omelia recitata il dì di San Pantaleone, quando il sacro oratore rampognò gli uditori che venissero alla festa per vendere le merci più che a sentir la parola del Signore; e provocò al certo la potestà temporale, ricordando che Cristo avesse mandato suoi discepoli come pecore tra i lupi, e preveduto che monarchi, caporioni e tiranni sorgerebbero contro la predicazione del vangelo(910). Un altro grave sermone tocca particolarmente i costumi privati.
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