Quivi Fozio e Gregorio apparvero più grandi che prima, gettando parole di disprezzo in faccia ai vili giudici (29 ottobre 869)(931). Dieci anni appresso, mancato Ignazio, esaltato di nuovo Fozio, diè meritamente a Gregorio la sede metropolitana di Nicea; ove tosto morì (878), e la sua memoria fu onorata da un elogio del patriarca di Costantinopoli, che per dottrina superava ogni altr'uomo di quei tempi(932). Di sì gran momento furono due Siciliani nelle principali contese ecclesiastiche che si agitarono nel nono secolo tra l'Oriente e l'Occidente: l'una terminata per man di Metodio; l'altra accesa da Gregorio Asbesta.
In entrambe comparve, ma non tra i primi, San Giuseppe, detto l'Innografo, siciliano anch'egli. Nato, non sappiamo in quale città, da un Plotino e un'Agata, riparava coi genitori nel Peloponneso per fuggire la crudeltà dei Musulmani, dice il monaco biografo e forse discepolo di lui; aggiugnendo vaghe frasi di stragi, rapine, cattività, con che i Barbari affliggessero la Sicilia, isola nobilissima per la fama di Dionisio e di San Giuseppe Innografo. Entrò questi in un monastero di Tessalonica a quindici anni: studioso, solitario, taciturno; si straziava d'astinenza; percoteasi il petto con pietre; a usanza dei monachi greci si confessava gran peccatore indegno del sacerdozio, al quale fu assunto, suo malgrado, da un santo, che voleva adoperarlo a muover sedizioni contro gli Iconoclasti(933). Mandato dunque per le bisogne della fazione a Roma, cadeva in mano di corsari musulmani, che sel recarono a Creta; e quivi metteasi ad esortare il vescovo contro la eresia; confortava al martirio un compagno di prigione, venuto in procinto di rinnegare la fede cristiana.
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