Oltre a ciò le idee e lo stile, sì dell'opera principale e sì delle appendici, tengon bene della esaltazione religiosa, della esasperazione di sentimenti nazionali, e fin della moda di romanzi cavallereschi deste in Oriente dalle Crociate. Trovo finalmente nella appendice su la Sicilia: "Il re dei Rum ha tenuto sua sede dai tempi più remoti infino a questi nostri giorni, in tre luoghi soli, cioè la Sicilia, Roma, e Costantinopoli" (fog. 119 verso); la quale asserzione s'adatta alle vicende dell'impero fino al soggiorno di Costante a Siracusa, e risponde anco più esattamente al duodecimo secolo, in cui i potentati delle provincie italiane e greche erano appunto quei tre: imperatore bizantino, re normanno di Sicilia, e re dei Romani.
Passando alla critica dei fatti, basta a percorrere le appendici per accorgersi di quel miscuglio di vero e di falso che si trova in tutte le opere dello pseudo-Wâkidi; ma è notevole che la sconfitta navale e la uccisione di Costante, e poi il conquisto dell'Affrica, siano raccontati con circostanze più vicine al vero, e in generale senza le novellette che Ibn-el-Athîr e altri rinomati scrittori accettarono come fatti storici. Che se parrebbe sospetta a prima vista la mancanza del nome di chi capitanò questa impresa di Sicilia, ciò può provare al contrario la diligenza del compilatore, poichè i ricordi antichi erano divisi su tal punto, e chi dava l'onore a Mo'âwia-ibn-Hodeig, chi ad Abd-Allah-ibn-Kais. Del rimanente sarà agevole, a creder mio, a scevrare le finzioni dai fatti che il compilatore tolse da autori antichi, forse dal genuino Wâkidi.
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