XVII, con le osservazioni di Guizot e di Milman, alle note 172 e 180.
(341) Confrontinsi i Diplomi seguenti:
del 489 presso Marini, I Papiri Diplom., n° XXXII e XXXIII.
verso il 504 pr. Di Giov., Codex Sic. Diplom., n° XXXVIII, p. 79.
del 526-527 ibid. n° XLI e XLIII, p. 82-84.
verso il 537 ibid. n° LI, p. 91.
Veggansi inoltre: Justiniani, Novellę, nov. LXVIII; Di Giovanni, op. cit., diss. VI, cap. III, p. 458, seg.; Savigny, Histoire du droit romain, cap. V, § 106-108, p. 227, seg., che cita tra gli altri documenti le epistole di San Gregorio, delle quali ho fatto parola (p. 199, nota 3); e un'altra (della quale credo errata la citazione) scritta al vescovo di Tindaro intorno l'accettazione di certe donazioni, nella quale si ricorda essere bisognevoli a ciņ le gesta municipalia.
Intorno i beni delle cittą, leggasi nel Codex Theodosianus, lib. XV, tit. I, legge 32, il rescritto di Arcadio e Onorio (anno 395) indirizzato ad Eusebio consolare di Sicilia, nel quale, provvedendosi alla conservazione delle cittą ed oppida dell'isola, č detto: De redditibus fundorum juris reipublicę tertiam partem publicorum mnium et thermarum subustioni (corretto da Gotofredo substructioni) deputamus. Fondi appartenenti alla repubblica, secondo il linguaggio legale che prevaleva in quel secolo, non significa que' del patrimonio imperiale, ma appunto beni comunali, come l'ha spiegato il Di Gregorio nel citato Discorso XII.
(342) Constantinus Porphyrogenitus, De Thematibus, lib.
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