(368) Tra i ragguagli dell'ambasceria affricana in Sicilia dell'813, troviamo che il patrizio rimproverava ai legati avere il governo di Sicilia pattuito con quel d'Affrica infino da ottantacinque anni, e non si essere mai osservato l'accordo. Indi il primo trattato torna al 728. Cotesti ragguagli leggonsi nella seconda delle tre epistole di papa Leone Terzo a Carlomagno, date il 7 settembre, 11 e 25 novembre 813, pubblicate dal Labbe, Sacrosancta Concilia, tom. VII, p. 1114 a 1117; e nel Codex Carolinus del Cenni, tom. II, ep. VIII, IX, X, di Leone; e le due prime anche dal Di Giovanni, Codex Siciliæ Diplomaticus, no. CCLXXVII, CCLXXVIII. La indizione che vi si cita, mostra che il Labbe andò errato a riferire l'epistola dell'11 novembre all'anno 812. Veggansi anche gli squarci di questi documenti presso il Pagi, ad Baronium, anno 813, §i 21, 22, 23.
(369) Questo mi sembra il miglior modo di spiegar le parole attribuite agli ambasciatori musulmani nella citata epistola di Leone Terzo dell'11 novembre 813. Scusavansi delle infrazioni loro apposte dal patrizio di Sicilia, allegando che morto il padre dell'Amiramum (principe dei credenti) e rimaso costui bambino, era ita sossopra ogni cosa: liberatisi i servi; gli uomini liberi agognanti al poter supremo; tutti scioltisi a mal fare, come se non avessero principe sopra di sè. Ma in oggi, fatto adulto l'Amiramum, soggiugneano gli ambasciatori, ha ripigliato l'autorità, e farà osservare i trattati. Or non adattandosi cotesti particolari nè ai califi abbassidi di quel tempo, che erano signori degli Aghlabiti, nè agli Aghlabiti stessi, è forza supporre la relazione del papa, come pur la dovea essere, mutila e inesatta, e conviene indovinar ciò che vi manchi.
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