(524) Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo I, fog. 124 verso.
(525) I Bizantini, il cui navilio fu sì formidabile per cagione dei legni incendiarii, non chiamavanli con nome speciale. I dromoni, ch'erano lor navi da fila, portavano uno o più tubi di metallo, onde schizzava il fuoco greco alla guisa delle lance a fuoco d'oggidì; e gli artiglieri, drizzando quella lingua di fiamma come voleano, ardean la nave nemica. Aveano oltre a ciò piccioli tubi, pentole e altri artifizii di fuoco da lanciare a mano o con macchine. Veggansi a tal proposito le Institutions militaires de l'empereur Léon, versione francese del Maizeroi, p. 136 seg.; e Reinaud et Favé, Du feu grégeois, pag. 103 a 112.
Presso i Musulmani il nome di (nave) incendiaria apparisce la prima volta, credo io, verso l'813; facendosi menzione da Ibn-el-Athîr d'una harrâka con la quale il califo Amîn solea andare a diporto sul Tigri. Poi, questa denominazione occorre al tempo delle Crociate nel significato di barca da fiume, battello, gondola; ma tuttavia alcuni scrittori arabi la definivano: "galea con un ordegno da gittar fuoco." Da tale contraddizione tra il nome e il fatto, è nato disparere su la qualità di nave che si dovesse intendere sotto il nome di harrâka; ostinandosi i dotti a credere che si trattasse sempre di una sola qualità di nave: e le varie opinioni su tal punto si leggono nelle note dei signori Reinaud, Extraits etc. relatifs aux Croisades, p. 415; ed E. Quatremère, Histoire des Sultans Mamlouks par Makrizi, tomo I, p. 143, e tom.
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