LIBRO TERZO.
CAPITOLO I.
Al contrario della stanca società bizantina che sgombrava di Sicilia, la musulmana che le sottentrò, portava in seno elementi di attività, progresso e discordia. Nel primo Libro, toccammo gli ordini generali dei Musulmani, e come si assettarono in Affrica. Or occorre divisare più distintamente alquanti capitoli di lor dritto pubblico, e l'applicazione che sortirono appo la colonia siciliana.
Farem principio dal reggimento politico. Il dispotismo che prevalse con la dinastia omeîade, e si aggravò con l'abbassida, non era bastato ad opprimere le due aristocrazie, gentilizia e religiosa, tanto che non prendessero parte, secondo lor potere, alla cosa pubblica. Fecerlo in due modi; cioè con la interpretazione dottrinale della legge, e con lo smembramento dello impero: a che si è accennato, trattando dell'Affrica1. Secondo le teorie distillate per man dei dottori2, dagli eterogenei elementi della legge musulmana, lo impero, era ormai, in dritto e in fatto, debole federazione di Stati, impropriamente chiamati province. Troviamo in Mawerdi, egregio pubblicista del decimo secolo, doversi tenere lo emir di provincia come delegato della repubblica musulmana, non del califo3. Ei veramente esercitava tutta l'autorità sovrana, fuorchè la interpretazione decisiva dei dommi4. Allo emir di provincia era dato:
Ordinare lo esercito, distribuire le forze nei luoghi opportuni, e fissare gli stipendii militari, quando non lo avesse già fatto il califo;
Vegliare all'amministrazione della giustizia ed eleggere i câdi e gli hâkem, magistrati simili al câdi nelle città minori;
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