Ma questo non si scompartiva, come il bottino, con legge immutabile e precisa, tra tutti i combattenti; anzi stava ad arbitrio tra dell'emiro e del principe; e gli Arabi potean pretendere che ne fossero esclusi gli stranieri, toccando a loro il primo luogo nei ruoli. Niun cronista fa motto di tal contesa; ma la non potea non accadere; e ce ne conferma il fatto che la Sicilia fu insanguinata per la prima volta in guerra civile pochi mesi dopo il ritorno delle masnade che Niceforo Foca scacciò dalle Calabrie92.
Quei due movimenti si frastagliavan sovente, e il secondo cadde in acconcio al principe aghlabita che volle davvero soggiogare la colonia. Ricapitolando i fatti che narrammo nel Libro secondo, si scorge la lotta d'independenza principiata proprio alla fondazione della colonia palermitana; sopita da savii emiri di sangue aghlabita; ridesta verso l'ottocento sessantuno, come n'è indizio il frequente scambio degli emiri. Quel valoroso e nobilissimo Khafâgia, ucciso a tradimento da un Berbero, sembra cadesse vittima dell'altra discordia; se pur Arabi e Berberi non s'erano uniti per brev'ora contro le usurpazioni del poter centrale. Così fatta resistenza durava nei principii del regno d'Ibrahim-ibn-Ahmed, come il provano gli scambii degli emiri verso l'ottocento settantuno. Poi entrambe le divisioni divampano al medesimo tempo. Tra l'autunno dell'ottocento ottantasei e la primavera dell'ottantasette, gli Arabi del giund e i Berberi vengono al sangue: la nimistà loro, se non la aperta guerra civile, arde tuttavia per dieci anni, sì che viene a dettare lo scandaloso patto di torsi a vicenda dall'una e dall'altra gente gli statichi da consegnarsi ai Cristiani (894-895). Nello stesso decennio la tenzone della colonia col principe arriva agli estremi: ribellione armata da una parte; dall'altra, repressione con le armi e fors'anco violazione della legge fondamentale che affidava all'emiro il governo della colonia.
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