Il tiranno allora gli domandava se tutta la tribł di Nefūsa tenesse tal credenza, e saputo di sģ, ringraziava il Cielo d'averne fatto macello. I prigioni, ch'eran cinquecento, se li fece recare innanzi a uno a uno: egli assiso in alto, tenendo in mano un suo lanciotto, cercava con la punta sotto l'ascella ove fosse il vano tra costola e costola dell'uomo128, e poi data una spinta, andava a trovar dritto il cuore, e facea passare un altro, finchč tutti gli trafisse. Cosģ il Nowairi129. L'autore del Baiān scrive che i prigioni fossero trecento, ch'ei ne avesse fatto spacciar uno e poi trattogli il cuor con le proprie mani, e fattolo trarre agli altri, infilzati in una funicella i trecento cuori, e sospesi a festone su la porta di Tunisi130. Ambo le tradizioni bene stanno ad Ibrahim-ibn-Ahmed, e possono ammettersi insieme.
Innanzi tal pia scelleratezza, era ito Ibrahim a Tripoli (896-897), governata per lui da un suo cugin carnale, Mohammed-ibn-Ziadet-Allah, uomo di egregii costumi, erudito, poeta e scrittore d'una storia di casa aghlabita: onde il tiranno ignorante l'invidiava fin dalla gioventł, ma adoperavale per averne bisogno. Il coperto odio divampņ, quando il califo abbassida Mo'tadhed, risapendo le enormezze di Tunis, minacciņ in parole, e secondo altri scrisse a dirittura a Ibrahim, ch'ei lo avrebbe deposto, e surrogatogli il cugino, specchio di virtł. Pertanto non contentossi Ibrahim d'ucciderlo; ma volle fosse appiccato il cadavere a un palo come di malfattore131. Somiglianti sospetti di Stato lo spinsero, prima e poi, a mandare a morte ciambellani, ministri, cortigiani, e un povero segretario, chiuso vivo nel feretro.
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