Quanto a sè, non potendo rimanere in Affrica nè volendo ire a Bagdad, scrisse al califo ch'ei si metteva in pellegrinaggio per la Mecca. Poi pretestò che convenia passare per l'Egitto, e che ei nol potea senza azzuffarsi coi Beni-Tolûn; onde inviò a Bagdad un'altra lettera: che ad evitare spargimento di sangue musulmano, vedi s'egli era contrito, e a compiere insieme i due precetti del pellegrinaggio e della guerra sacra, piglierebbe la via di Sicilia162. Forse agitava in mente il pazzo disegno di andare alla Mecca per a traverso i territorii di Cristianità, il Bosforo e l'Asia Minore, poich'egli non avea rinunziato al figliuolo la signoria di Sicilia, e pensò al certo al conquisto d'Italia, e in Italia parlò di quel di Costantinopoli163. Che che ne fosse, Ibrahim, sceso dal trono, parea rifatto altr'uomo. Dissepolti i suoi tesori e armerie, indossò a mo' degli anacoreti un cilicio tutto rattoppato; andò a Susa a bandire la guerra sacra. Di lì il sedici di rebi' secondo (30 marzo) parte per Nûba, castello in su la marina tra Susa e Iklibia (Clypea); ove fa la mostra dei volontarii; li provvede d'armi e cavalli; dispensa venti dinâr a ogni cavaliero e dieci a ogni fante; e con loro fa vela per la Sicilia164.
CAPITOLO IV.
Il tiranno penitente trovò perdono e anche séguito in Sicilia. Sbarcato a Trapani165 verso la fine di maggio166 si messe a far gente: poi cavalcò alla volta di Palermo; giunsevi l'otto di luglio, ma, com'ei sembra, non entrava in città167. Comandando tuttavia da re non ostante l'abdicazione, Ibrahim alzò in Palermo il Tribunal dei Soprusi; deputò altri a presedervi; ed egli, intento anima e corpo alla guerra sacra, conduceva a soldo marinai, largheggiava stipendii a cavalieri; talchè tra gli Affricani che avea seco e i Musulmani di Sicilia che arruolò, messe in punto un'oste poderosa.
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