Leggiamo in una cronica che al suo tempo il popolo godč ogni ben che si potesse desiderare; il governo si condusse efficace e tranquillo; furono soggiogati parecchi paesi bizantini, e l'emiro mostrņ quella magnanimitą, liberalitą e giustizia, che mancava in tanti altri principati musulmani810. Chi lodalo di fermezza insieme e di bontą in verso i sudditi811; chi d'aver superato tutti i predecessori in gloria e virtł812. La cultura sua e della corte ci torna dalle biografie dei poeti contemporanei.
E prima d'Ibn-Moweddib da Mehdia, cervello strano dato all'alchimia e alla pietra filosofale, uom di brutti costumi, cupido e taccagno, vago d'andare qua e lą per lo mondo a buscar danaro con meschini versi; il quale, viaggiando alla volta d'un'isola adiacente alla Sicilia, era stato preso dai Bizantini e ritenuto in lunga cattivitą. Rimandato in Palermo con altri prigioni, quando Iūsuf fermņ una tregua con l'Impero, Ibn-Moweddib ringraziavalo con un poemetto, e l'emiro lo regalava; ma non tenendosene soddisfatto, si messe a sparlare di Iūsuf sģ apertamente, che fu ricerco dal bargello. Si nascose appo un conoscente, artigiano dell'arsenale. Ma uscito una sera ubbriaco per comperar nuov'esca da bere813, lo colsero; e il prefetto della cittą814 condusselo immantinente a Iūsuf. Il quale lo rinfacciava: "Sciagurato, che č questo che sento dir di te!" E il poeta a lui: "Ciarle di spioni, che Iddio aiuti il signor emiro." - "Ma ti sovviene," riprese Iūsuf, "il nome di chi cantņ: Ecco il valentuomo messo con le spalle al muro dai figli di male femmine?
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