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      Di cotesti Siciliani diremo là dove cadrà in acconcio. Da un'altra mano la corte degli emiri in Palermo del tutto si ordinava come di principi independenti. Si veggono nel regno di Gia'far gli oficii di vizîr e di hâgib, ossia ministro e ciambellano; i quali mai non furono, nè il poteano, appo gli emiri di provincia. I poeti in loro apostrofe a Iûsuf e al figliuolo chiamavanli Malek, che suona re, titol nuovo nell'islamismo; e scrivean come se mai non fosse stato al mondo il califato d'Egitto861.
      Gia'far ebbe dal padre, insieme col principato, ciò che si potea tramandare per liberale educazione: non le virtù dell'animo nè della mente. Fece mediocri versi; entrò nelle antologie degli Arabi in grazia d'un epigramma improvvisato in Egitto (1035), dove andò a finir comodamente la vita quando il cacciarono di Sicilia: volgare antitesi sopra due paggi che gli venner visti in abiti di dibâg862 l'un rosso e l'altro nero; la qual freddura piacque assai in quell'Arcadia arabica dell'undecimo e duodecimo secolo863. Del rimanente, indole pigra, avara, crudele: nelle sue mani casa kelbita diè la volta al comun precipizio delle dinastie musulmane, nelle quali ad una o due generazioni di guerrieri succedettero per lo più i Sardanapali; come se il naturale intristir dei sangui regii s'affrettasse dentro le mura dell'harem, dove si sciupa il padre, e la fiacca prole alla sua volta vi lascia quel po' di spirito rimaso nella razza.
      Dal martire Abu-l-Kâsem in poi, gli emiri siciliani aveano amato meglio i piaceri della reggia in Palermo che i combattimenti di Terraferma.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume secondo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1858 pagine 654

   





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