Gią gią mancavan le forze ai pochi difensori; le turbe stavano per saltar dentro, quando si vide uscire in portantina il paralitico Iūsuf; e per caritą e riverenza s'arrestarono a un tratto gli assalitori. Il quale si studiņ a calmarli con parole e promessa di far quant'e' vorrebbono; e quelli al veder il povero vegliardo rifinito dagli acciacchi e dall'ansietą, ruppero in lagrime: quasi supplicando si rifecero a contargli tutte le angherie sostenute. Iūsuf rispondea farsi mallevadore del figliuolo, e ch'ei medesimo volea gastigarlo, e dargli lo scambio in persona di cui lor paresse. Domandarono l'altro figliuolo Ahmed, soprannominato Akhal873; e incontanente Iūsuf facea promulgare la deposizione di Gia'far, e la esaltazione di Ahmed. Domandarono Hasan di Bāghāia e il ciambellano Abu-Rāfi'; i quali consegnati al popolo furono entrambi uccisi e condotta in giro per la cittą la testa del vizīr, ch'era pił odiato, e arso il tronco, senza sepoltura. E ciascuno se ne tornņ a casa.
Iūsuf intanto temendo non inviperissero peggio gustato il sangue, avea fatto imbarcare Gia'far sopra un legno che sciogliea per l'Egitto; e poco appresso in altra nave ei lo seguģ. Moriron poscia entrambi in Egitto, dove avean recato secoloro in contanti seicento settantamila dinār, che son circa dieci milioni di lire italiane. I cronisti arabi, lodando a lor uso la caritą e liberalitą, notano che Iūsuf possedeva in Sicilia tredici o quattordici mila giumente, senza contarvi gli altri animali da sella e da soma, e che venendo a morte non lasciņ pure un ronzino874. Ma a considerar meglio i fatti, quello stupendo armento, per non dir nulla dei dieci milioni di moneta, prova la quantitą dei poderi tenuti in demanio nei regni di Iūsuf e di Gia'far.
| |
Iūsuf Ahmed Akhal Iūsuf Gia Ahmed Hasan Bāghāia Abu-Rāfi Gia Egitto Egitto Iūsuf Sicilia Iūsuf Gia Iūsuf
|