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      Tale il Prassinachio, del quale dicemmo, e gli altri di cui non è maraviglia se ignoriamo i nomi1004, poichè le agiografie si scriveano nei monasteri, non per le celle dei romiti, quando pur sapeano scrivere. Posate in Sicilia le armi e mancati i monasteri, il clero mal si rifornì: quei che ne sentiano vocazione, passavano in Calabria dove si parlava la stessa lingua, si trovavano spesso i concittadini; e la dominazione greca apria largo campo alla modesta pietà, alle fantasie riscaldate ed alle ambizioni monacali. A legger le vite dei santi di Calabria in questo tempo, ognun vede che si pasceano, come tutta la chiesa greca, delle leggende degli antichi padri della Tebaide e di Siria; se non che la natura occidentale rifuggiva da quelle orrende penitenze, dalla perpetua solitudine, dalla oziosa contemplazione che non si diffondesse in altrui. E però i romiti si associavano tra loro; procacciavano seguito nelle cose mondane. L'apice della virtù religiosa era la fondazione d'uno, anzi di parecchi monasteri, di cui uom divenisse abate in vita e santo tutelare dopo la morte. Ed a questo aspirò e pervenne alcun rifuggito siciliano.
      Correndo la prima metà del decimo secolo, nacque a Castronovo, nel bel mezzo delle colonie musulmane e dicesi di ricchi genitori, Sergio e Crisonica, un Vitale; il quale educato nelle lettere sacre, ma amando poco lo studio, andò a chiudersi nel Monastero di San Filippo d'Argira. Con altri frati passò a Roma, dice l'agiografia, senza aggiungere il tempo nè il perchè, ai quali noi ci possiamo apporre; e sarebbe per avventura la raccontata vicenda del novecentosessanta, quando una man di Musulmani avesse preso a stanziare nella patria di Diodoro Siculo ed occupato i beni di San Filippo.


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Storia dei musulmani in Sicilia
Volume secondo
di Michele Amari
F. Le Monnier Firenze
1858 pagine 654

   





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