I diplomi latini di Napoli di quel secolo portan le vendite in solidi bizantini e più spesso in tari1193, dei quali quattro faceano un solido bizantino, ch'era lo stesso del dinâr arabo. Dai medesimi atti si rileva che i solidi scarseggiavano o mancavan del tutto alla metà del secolo, ancorchè sempre si notassero come moneta legale; e che rimanea quasi solo conio corrente d'oro il tari1194. Da un'altra mano i musei del regno di Napoli ci mostrano quartigli d'oro della stessa forma e peso di que' di Sicilia, col nome del califo fatemita Moezz (953-975); se non che comparisce la mano straniera, al cufico men franco, e la lega men buona, e si mostra talvolta alla scoperta, aggiugnendo in mezzo dell'impronta arabica "Salerno" e altre lettere latine: e perfino stampò la croce tra le sentenze unitarie dei Fatemiti, o scrisse sul dritto il nome di Gisulfo principe di Salerno (1052-1076) e sul rovescio quel di Moezz morto un secolo innanzi1195. Parmi non cada in dubbio che i tari dei diplomi napoletani fossero appunto i robâ'i di Sicilia, e le copie più o men fedeli che se ne faceano nell'Italia meridionale. La voce tari, ignota di là del Garigliano, ignota nelle altre province bizantine, si accosta per articolazioni ed accento a dirhem o dirhim pronunziata velocemente dagli Arabi trihm1196, ed al plurale terâhîm o trâhîm e trâhî, mangiandosi l'ultima consonante e battendo l'accento sull'ì. Le bocche italiane ne fecero tari. Nè questa è conghiettura, ove si ricordi il tari denominazione di peso, che risponde senza dubbio al dirhem, il quale gli eruditi di Sicilia scrissero tari-peso, ma il popolo credo l'abbia detto sempre trappeso, rendendo nella prima sillaba la volgare pronunzia arabica1197. Così i Napoletani e i Siciliani del medio evo ripigliavano dagli Arabi il vocabolo drachma, che quelli aveano tolto dai Bizantini e mutato in dirhem.
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