CAPITOLO XIV.
Arrivati a scoprire per quante vie s'era messo lo spirito umano al tempo dell'antica civiltà, i popoli musulmani le tentaron qua e là con ardore giovanile; in molte si lasciarono addietro i Cristiani contemporanei; sovente aggiunsero lor trovati al patrimonio degli antichi; il che non avveniva allora in Cristianità. Sopra ogni altro lussureggiarono in due esercizii connaturali a loro società. L'arte della parola in rima e in prosa, antico vanto degli Arabi, mutando corso nell'islamismo e allontanandosi dalle forme del bello, si allargò in ogni più sottile investigazione di grammatica, lessicografia, versificazione, delle quali parteciparono i popoli conquistati: talchè per tutta Musulmanità fu studiata la filologia minore quanto nol fecero mai i Greci nè i Latini; e se le Muse dessero la corona a chi più s'affatica, gli Arabi se l'avrebbero senza contrasto. Surse dal Corano quella scienza mescolata di teologia e dritto, la quale, sendo come il pan quotidiano dei Musulmani, non è maraviglia che attirasse tutti gli ingegni disposti a così fatte contemplazioni e bramosi di onori e stato. La filologia e le scienze coraniche, per aver sì profonde radici l'una nella schiatta arabica, le altre nella società musulmana, occuparono quasi tutto il campo, rinvigorite dalla metafisica e dialettica dell'Occidente; rimasero sole dopo la decadenza politica e sociale dagli Arabi; e si possono dir vegete fino ai dì nostri dovunque regga la legge di Maometto, dal Gange allo stretto di Gibilterra.
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