Scarsi al paro i ricordi di cui seguģ la filosofia antica, che gli Arabi chiamarono col proprio nome greco: e diceano Kelām ossia "ragionamento," la metafisica e logica religiosa acconciate a lor modo. I filosofi, spesso perseguitati in vita e dimenticati dopo morte, non tornan a galla nella storia letteraria degli Arabi, se non li spinge su qualche vestimento pił leggiero: poesia o filologia. Cosģ ci vien trovato nelle biografie dei linguisti di Soiuti, un Sa'īd-ibn-Fethūn-ibn-Mokram da Cordova, della illustre gente dei Togibiti, grammatico, filologo e scrittor di due trattati di versificazione; dato anche, dice Soiuti, alla filosofia. Fu costui contemporaneo del terribil ministro Ibn-Abi-'Amir, detto Almanzor, protettore delle lettere, persecutore delle scienze antiche; quel che bruciņ i libri di filosofia ed astronomia della biblioteca di Cordova. Sa'īd, accusato non sappiamo se di scetticismo o ribellione, forse senz'altra colpa che il nascer di schiatta possente e temuta, fu chiamato da Almanzor, interrogato severamente e messo in prigione. Poi lasciaronlo andare in esilio; ed elesse la Sicilia, dove passņ il resto de' suoi giorni, alla fine del decimo o principio dell'undecimo secolo1221.
Primaria scienza sacra appo loro la lettura del Corano, la quale portando seco interpretazione, riesce a gravi conseguenze legali, dommatiche e morali. Fu dettato il Corano quando tra gli Arabi contavasi a dito chi sapesse scrivere; nč a grammatica si pensava pur anco nč ad ortografia. Poscia Othmān nell'edizione canonica eliminņ i luoghi apocrifi, le frasi estranee al dialetto coreiscita, ma non potč mettere in carta la sacra parola con segni pił perfetti che gli Arabi non ne possedessero.
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