Ei pubblicò il disegno, in picciolo, nella sua Storia, deca I, lib. VIII, cap. I, credendo serbare il testo caldaico scritto poco dopo il Diluvio. Nel 1564, il vicerè spagnuolo che prolungò il Cassaro e gli diè il nome di Toledo, abbattè senza riguardo la torricciuola; ma per le cure dell'erudito Marco Antonio Martinez si trasportò la più parte delle pietre scolpite nel palagio di città, e se ne trassero i disegni: ottantaquattro pietre, delle quali mancavano ventuna. Così rimase la iscrizione, a un di presso ordinata al modo d'un lungo rigo di caratteri da stampa che sian caduti a terra e un analfabeta li abbia rimessi insieme in cinque o sei linee, dopo averne gittate via la quarta parte. Così la pubblicò due secoli appresso, per la prima volta, il Torremuzza (Siciliæ etc. Inscriptionum, 2a edizione) e indi il Di Gregorio (Rerum Arabicarum) e il Morso (Palermo Antico). L'Assemanni accertò la natura dei caratteri; ma pochi ne lesse. Il Tychsen vi ritrovò una cifra cronologica e il frammento d'un versetto del Corano. Io ve n'ho letto un altro; è il resto M. Reinaud; il quale, com'io lo consultai su la mia lezione, la confermò, e incontanente la proseguì. Ecco la traduzione della data e dei versetti, nella quale il carattere corsivo mostra le parole che si è arrivato ad accozzare. Accenno le linee secondo la copia di Martinez:
Linea 3. Trecento, - Tychsen; aggiugnendo con dubbio trentuno. Mi parrebbe più tosto, ma non lo affermo, sessanta.
Linea 4. (Corano, sur. XXIV, v. 36.) in edifizii [i quali] permesse Dio che fossero innalzati.
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