Ecco un bastone ch'io non strascino nel sentiero della vergogna; mi regge ansi a scostarmene.
O vogliate dir che l'impugno per correr meglio all'ottantina, non per battere (gli alberi e raccorre) foglie al mio gregge. [Si vegga il Corano, Sura XX, verso 19.]Io sembro un arco, e il bastone la corda; l'arciere v'incocca canizie e caducità.
1438 Le allusioni a questo fatto si raccapezzano da due Kasîde, la prima delle quali ho data nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 552 e seg., e comincia così:
Le sollecitudini della canizie hanno scacciato l'allegrezza della gioventù. Ah! la canizie quando comincia a splendere la t'abbuia!
Per un'ombra d'amore il destino mi spinse lungi; e l'ombra fuggì da me e sparve.
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Una brezza vespertina mormora, rinfresca, e sospinge soavemente (la barca).
Ella sciolse. Evviva! E la morte facea piangere il cielo sugli estinti che giaceano in terra.
Il mugghio del tuono incalzava le nubi come il camelo che freme contro la compagna ribelle.
D'ambo i lati di lei avvampano i baleni, col lampeggiare di spade brandite.
Passai la notte nelle tenebre. O bianca fronte dell'aurora, arrecami la luce! . . . . . . . . . . . . . . .
In quella (terra) è un'anima amante, che alla mia partita, mi infuse questo sangue che scorremi nelle vene;
Luoghi ai quali corrono furtivi i miei pensieri, come i lupi si rinselvano nella (natia) boscaglia.
Quivi fui compagno dei lioni alla foresta; quivi in suo covile visitai la gazzella.
O mare! dietro da te è il mio giardino, del quale mi ascondi le delizie non già le miserie!
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