Una colletta fatta tra gli astanti fruttò circa duecento lire, e fu convenuto che Hans incomincerebbe il giorno dopo a prender lezione di canto dal professore Weyse. La disperazione del ragazzo si tramutò allora in una gioia così grande, ch'egli scrisse subito alla mamma una lettera esultante, dicendole che oramai "aveva acciuffata la fortuna."
Per quasi un anno, aiutato dal buon Siboni, dal Weyse e da due o tre altri pietosi, cui l'Andersen serbò sino all'ultimo riconoscenza, potè studiare il canto; e ci mise infatti tutto l'impegno. Ma Hans, sempre grato per quanto gli si donava, sarebbe morto anzi che domandare qualche cosa di più a' suoi benefattori: una megera presso la quale alloggiava, in una soffitta mal riparata, spennava senza misericordia l'inesperto anitroccolo; e per ciò in quei mesi, malgrado l'aiuto de' suoi benefattori, il povero figliuolo stentò miseramente la vita. Le privazioni, il freddo patito portarono la più disastrosa conseguenza: la perdita della voce, sulla quale fondava tutte le sue speranze.
Allora, anche il maestro Siboni lo consigliò di tornare a Odense e d'imparare un buon mestiere; ma a questa Hans non voleva venire. Il suo sogno era sempre il teatro... e si provò persino a frequentare una scuola di ballo, sebbene il suo personale lo rendesse meno adatto di ogni altro a tale carriera. Ma l'essere allievo della scuola di ballo annessa al Teatro Regio, gli dava libero accesso al palcoscenico, permettendogli di goder lo spettacolo di tra le quinte; e questa era tal gioia, che non gli pareva di certo pagata cara a prezzo di quattro sgambettate.
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