E le lettere del povero Hans, che a' suoi protettori si sforzava in vece di far onore, e si dibatteva tra le difficoltà vere del greco, del latino, dell'ebraico e quelle che gli creava la stessa indole sua, poco adatta e meno assuefatta allo studio diligente e indefesso, fanno fede delle sue pene e della profonda bontà di Jonas Collin, che ne sorreggeva la volontà come un vero padre. Se il Rettore Meisling, ch'era bensì severo, ma non cattivo, avesse veduto quelle lettere e le risposte del Collin, avrebbe potuto convincersi che per la sensibilità quasi morbosa del suo strano allievo meglio d'ogni severità sarebbe giovata una buona parola.
Anche a proposito dei critici, che gli amareggiarono tanta parte della vita, l'Andersen lamentava che non comprendessero come ogni lode, ogni segno di benevolenza lo rendesse umile e severo con se stesso, mentre gli attacchi brutali suscitavano nell'anima sua un senso di ribellione. E come furono terribili, in vece, i critici, per i suoi primi tentativi! Soltanto nel 1835, quando pubblicò il romanzo L'Improvvisatore, il suo trionfo fu assicurato; ma prima, quanti dolori, per l'ostilità incontrata dai suoi volumetti di versi, dai lavori teatrali, e persino da quel poema drammatico Agnete e l'uomo del mare, tratto dalla vecchia ballata danese di Agnete, di cui s'era tanto innamorato, che si reputava sicuro della fortuna!
L'Improvvisatore era "il suo figliuolo italiano". Quando Re Federico gli aveva accordata una modesta borsa di viaggio, l'Andersen aveva potuto spiccare il volo come le sue care rondinelle - vidt, vidti, vidt!
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